Chi possiede i dati controlla il mondo.
Tutti lo sanno.
Però tutti se ne dimenticano.
Chi controlla la fonte primaria di dati e/o informazioni può decidere tutto e determinare o influenzare la nostra percezione, le nostre convinzioni, le nostre azioni.
“Che banalità! È ovvio!”, dirà qualcuno.
Talmente banale e ovvio che…
La grande illusione
Drogati dalla cultura del fact-checking e della “competenza”, guardiamo ai dati come alle tavole della verità.
Cerchiamo le fonti e in base alla loro autorevolezza o non autorevolezza (e alle nostre preferenze personali…) decidiamo se ciò che viene affermato, riportato, sussurrato è “vero”, “verosimile” o “falso”. “Giusto” o “sbagliato”.
Ci basta questo percorso per farci un’idea, per prendere una posizione. Siamo soddisfatti.
La logica ci dice, invece, che l’idea di “sapere come stanno davvero le cose” è una grande illusione a cui più o meno consapevolmente decidiamo di credere.
Questo vale per chi segue il mainstream e per chi si affida a fonti “alternative”.
Nessuna delle due parti può garantire che i dati a supporto delle proprie convinzioni siano “veri”. Perché il famigerato “controllo delle fonti” per quanto approfondito, non arriverà mai alla sorgente. Tutto può essere aggiustato, modificato, amputato, corretto, distorto.
Un video, un documento, un reportage, un commento, una foto, una dichiarazione, uno studio scientifico.
Tutto può essere “fake”, tanto o poco.
Qualsiasi cosa, da qualsiasi “fonte” provenga.
Siamo tutti intermediati…
… da qualcuno che a sua volta dipende dalla fornitura di numeri (o informazioni…) digerite da qualcun altro.
Perfino il presidente degli Stati Uniti si deve fidare di ciò che gli dicono. Figuriamoci noi poveri stronzi.
Tutto questo per dire cosa?
Che tra il super esperto della materia X che si fida dei paper ufficiali e il più folgorato seguace della teoria Y che segue il canale YouTube dei nazisti dell’Illinois non c’è tutta sta differenza. Possono essere fregati entrambi. Entrambi sono distanti dalla verità, cambia solo la misura di questa distanza. Nel primo caso magari solo 100 metri, nel secondo 5km. Ma la sostanza non cambia.
Basta un centimetro. Un sottilissimo diaframma (cioè la presenza di un “gestore”) tra noi e le informazioni grezze per essere fuorviati.
Le fonti autorevoli, ufficiali, non garantiscono nulla.
Chi tra noi è presente alle riunioni di chi decide?
Chi di noi ha accesso ai verbali?
Chi di noi può aprire certi file excel?
Chi di noi c’era sul posto quando è accaduto quella certa cosa?
Anche se qualche fortunato riuscisse a toccare con mano certa documentazione, come può essere sicuro che sia originale, autentica e veritiera?
Non può esserlo, mai.
Certo, il buon senso, magari un po’ di competenza specifica (o semplicemente l’utilizzo di google…) aiutano a fare pulizia tra notizie inattendibili e dati sconclusionati, tuttavia si arriva a un punto oltre il quale una persona comune (ma non solo…) si deve fermare e… Fidarsi.
Everybody lies
“Non puoi mettere sullo stesso piano un terrapiattista e un professore di Harvard!”
E invece sì, perché il primo può dire cazzate (magari in buona fede…) e abbindolare il proprio target, il secondo mentire deliberatamente e manipolare il proprio pubblico di riferimento.
Risultato identico.
In ogni essere umano esistono molte più ragioni per agire in modo disonesto rispetto a quelle che conducono ad essere trasparenti e corretti.
E allora tocca fidarsi…
Tutti ci fidiamo di qualcuno. Di qualcuno che riteniamo dalla “nostra parte”.
Per appartenenza, comodità o per scelta, più o meno oculata.
C’è chi si fida di Scanzi, Fauci, Draghi o Giletti. Del telegiornale. Di Open. Del premio Nobel Tizio o Caio. Di Mentana o di Mazzucco, di 4chan, del gruppo Telegram X, di Pregliasco. Del nostro amico che fa il biologo, il fisico nucleare o l’elettricista.
Tutte persone e “canali” che a loro volta si fidano di qualcun altro e così via.
Siamo tutti sulla stessa barca dalla quale per orientarci ci basiamo su una linea di costa disegnata da numeri e da informazioni di seconda, terza, centesima mano.
Pure basarsi sullo storico (“tizio sono anni che dimostra di essere serio e competente”) è pratica fallace.
Basta che Tizio dica una balla una volta nella vita al momento giusto e su qualcosa di non verificabile che… taaaac… Fottuti e contenti.
Qual è l’alternativa?
Forse, bisognerebbe dare alle “fonti” un peso relativo, ai numeri idem. Quando non ne hai il minimo controllo reale.
Affiancare a una valutazione il più possibile razionale dei fatti un livello “qualitativo” di giudizio.
Ascoltare il sapore che i fatti ti lasciano in bocca, il proprio “sentire”, l’intuito.
Collegare i puntini.
Cosa che dal mio punto di vista, basta e avanza, di questi tempi.
“Non è un metodo razionale, scientifico per rapportarsi alla realtà”.
Perché la fiducia cieca o quella competente ma intermediata cos’hanno di razionale e scientifico?
La logica, la vittima di questi tempi
Più che assente, sembra essere la grande vittima, crivellata dai colpi dei dati che dicono tutto e il suo contrario pur di non ricorrervi (alla logica).
Perché se la si usasse, invece che stuprarla, potrebbe semplificare e aiutare comprensione e dialogo. Ma per farlo servono 2 cose: accettare di scoprire che magari tutto quello che ti hanno raccontato non si regge in piedi, e che tu stesso ti sei affidato a qualcuno che a qualche livello ha un potere su di te. Perché ne dipendi. Quindi devi accettare che il tuo libero arbitrio ti ha portato dove la logica non lo avrebbe fatto. Per questa o quella utilità.
Servirebbero umiltà e saggezza.
Logica, umiltà e saggezza… che parole antiche e stridenti, di questi tempi.
(il paragrafo finale è preso a prestito da un commento di un mio amico, ex-filosofo)
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