Sul tema €uro negli ultimi anni abbiamo assistito a innumerevoli giravolte da parte del movimento 5 stelle. Una periodica rimodulazione delle posizioni. Un dire tutto e il contrario di tutto senza esporsi in maniera inequivocabile, un adattarsi all’aria che tira, fondamentale per avere sempre a disposizione un post, una dichiarazione, un’intervista di tizio o caio precedente funzionale al momento, all’interpretazione estemporanea, al passo indietro onorevole, al “non ho mai detto X in realtà intendevo dire Y”.
Le circostanze producono un’atmosfera favorevole alle critiche nei confronti dell’UE e €uro?
Ecco pronta la dichiarazione di Grillo anti €.
La situazione assume connotati contrari? Ovviamente, abbiamo una qualche evidenza della posizione moderata del movimento espressa dal Di Maio di turno.
Tanto non si capisce bene chi comanda. Chi comanda lo si decide al momento, appunto.
Così, in generale, da un lato si tranquillizza la base del movimento in qualche modo (confuso) “sovranista”, dall’altro non si spaventa il grosso dell’elettorato potenziale che, vittima di anni di terrorismo mediatico e disinformazione sulla questione, ha bisogno di tutto tranne che di venir messo di fronte alla crudele realtà.
Risultato?
Il movimento può essere visto come No € e pro € (o quantomeno neutro) in egual misura dall’opinione pubblica, in base al punto sulla linea temporale su cui ci si focalizza e all’imprinting che quel dato momento storico lascia all’osservatore medio (tendenzialmente smemorato e poco informato).
Una pericolosa ambiguità che quando viene manifestata all’attivista grillino (tendenzialmente smemorato e poco informato pure lui, con sfumature di fanatismo inquietanti) produce un percorso dialettico alquanto bizzarro con dei cortocircuiti logici che lambiscono il quadro del disagio mentale (o del fideismo più cieco).
Ho cercato di visualizzare questo flusso dialettico nello schema qui sotto a beneficio di quanti avessero la morbosa intenzione di intraprendere una discussione sul tema con il grillino medio: se lo conosci lo eviti.
Ciò che l’episodio di Fermo ci propone è razzismo o qualcos’altro?
Cosa sappiamo del razzismo?
Esistono due pesi e due misure nel valutare i fatti?
La gestione dell’immigrazione costituisce un problema oppure no?
Esiste una distorsione della realtà – cecità inconscia in parte dell’opinione pubblica e un’orchestrazione dei media funzionale a qualcos’altro?
Togliamo sovrastrutture e tentiamo un’analisi “non di pancia” (paradossale, no?).
Usando il buon senso.
Non sappiamo esattamente cosa Amedeo Mancini pensasse in realtà della questione razziale. Non è ben chiaro come uno possa essere un bonaccione (si dice) allo stesso tempo comunista (dicono) e pluridecorato capo ultrà simpatizzante (voci di corridoio) di Casa Pound senza finire in TSO per sindrome da personalità multipla. Si è letto di tutto e di più a riguardo. A mio avviso si tratta molto più semplicemente di una persona con robuste problematiche personali.
Sorvolo sulle diverse ricostruzioni dei fatti, rimaniamo sul pezzo: la matrice razzista (o presunta tale).
L’influenza dei “cattivi maestri”, i cosiddetti “seminatori d’odio”.
A cadavere ancora caldo, esponenti politici di sinistra e le “anime belle” si sono lanciati in sentenze definitive.
Zero riflessioni, zero cautela in attesa di una verifica dei fatti ma riflessi pavloviani scatenati: quell’epiteto (“scimmia”) è bastato per collegare la tragedia al movente razzista e, quindi (?), imputarlo “moralmente” a chi, secondo la tesi in questione, avrebbe soffiato sul fuoco dell’odio, appunto, razziale o xenofobo titillando i più bassi istinti dell’inconfessabile natura razzista dell’italiano medio(basso).
Un effetto domino del tutto irrazionale che un minimo di buon senso avrebbe dovuto disinnescare. Appunto.
Insomma, sembra proprio che coloro accusano gli xenofobi di ragionare “di pancia” siano i primi a farlo.
“Movente: razzismo!” Siamo sicuri-sicuri-sicuri?
Dal punto di vista della fredda presa in esame degli accadimenti si è trattato di una rissa originata da un insulto a seguito del quale l’insultato ha reagito (a quanto pare non proprio in maniera Gandhiana).
E quando si passa alle mani le cose possono andare male per l’uno o per l’altro.
Non sembra esser stato un agguato pianificato, ne una spedizione punitiva in stile Pogrom.
L’episodio (se non ci fosse stata una vittima) oggettivamente sarebbe stato uno dei tanti che, per quanto riprovevoli e aberranti in termini di convivenza civile, passano quasi inosservati.
La gente si insulta ogni giorno, ovunque.
Le persone scendono dalle auto urlandosi contro di tutto al semaforo.
Tra marito e moglie ci si insulta, allo stadio ci si insulta, al bar ci si insulta.
A volte ci scappa la violenza, a volte ci scappa il morto.
“Eh ma gli ha detto “Scimmia” non “Stupidino”! È razzismo!”
Prendersela con il colore della pelle di una persona (o le preferenze sessuali o qualsiasi altra caratteristica personale o del gruppo umano a cui appartiene) è uno dei tanti modi con cui un soggetto frustrato trova l’aggancio per scaricare su soggetti “deboli” o presunti tali la propria stessa debolezza o desiderio di potenza insoddisfatto (facce della stessa medaglia).
Un pensionato, il compagno di classe con gli occhiali, una ragazza che passa per strada, un omosessuale, un disabile che occupa il marciapiede, la donna delle pulizie filippina, una prostituta dell’est, possono essere tutti buoni candidati per il ruolo di sfogatoio.
L’insulto per essere tale deve riuscire a “toccare” la vittima. Senza questo effetto il meccanismo di sfogo non raggiunge il proprio obiettivo in quanto non provoca risentimento, dolore, umiliazione nell’altro.
“Scimmia” è semplicemente lo strumento verbale più efficace a disposizione per colpire una persona di colore: non significa automaticamente che chi lo utilizza è un teorico della superiorità della razza bianca.
Semplicemente si sa che così facendo si centra il bersaglio.
“Vecchio rincoglionito” funziona con un anziano.
“Balena” funziona con una donna sovrappeso.
“Mafioso” funziona con un siciliano.
“Scimmia” funziona con un nero.
Cosa accumuna questi esempi?
Il fatto che la vittime presentano caratteristiche o appartenenze che possono essere oggetto di scherno, di degradazione, di umiliazione.
Generalmente la preda deve essere ovviamente (almeno in quel momento) facile, innocua e deve incarnare non tanto il ruolo di causa o concausa dei mali della società (secondo il cliché del Ku Klux Klan o dell’antisemitismo) bensì quello di semplice valvola di sfogo dei problemi dell’individuo stesso che opera la violenza.
Il problema è che stavolta la vittima non si è dimostrata così innocua, remissiva e indifesa.
“Scimmia” uscito dalle labbra del Mancini (non certo un fine ideologo) non è la sintesi, seppur grezza, di una qualche teoria sociologica-antropologica o politica fatta propria: è stato verosimilmente e semplicemente l’utensile più adatto presente nella sua arrugginita cassetta degli attrezzi per indirizzare rozzamente il proprio disagio personale verso l’obiettivo che aveva davanti in quel momento.
Fosse stato un tifoso della Sambenedettese avrebbe usato un attrezzo verbale diverso col medesimo obiettivo.
Chiunque di noi ha ereditato espressioni e vocabolari distanti dal politically correct e le adopera almeno mentalmente ogni giorno. Questo non significa che la nostra condotta, le nostre scelte, i nostri rapporti con le persone ne vengano concretamente influenzati: le persone minimamente equilibrate non vanno in giro a urlare “spostati ciccione!” oppure “ti tiro sotto zingaro del cazzo!” facendolo pure.
Altrimenti ogni giorno sarebbe un bollettino di guerra.
Tutti pensiamo cose di cui a parlarne ci vergognamo.
Purtroppo qualcuno quelle cose le urla e le manifesta con i comportamenti.
Funziona così.
È bello? No, per niente. Ma così è.
È l’essere umano, bellezza.
Quindi, associare il razzismo (secondo il significato etimologico del termine di cui sopra) al fatto specifico mi suona tanto da automatismo concettuale del tutto arbitrario (e, soprattutto, equivale a sopravvalutare l’omicida preterintenzionale).
Mi sto attaccando a un banale tema di utilizzo delle parole?
Banale? Le parole sono fondamentali perché portano con sé precise immagini, significati, emozioni e se usate “ad minchiam” portano fuori strada (o assecondano strategie di altra natura).
Per questo è bene evitare di usarle come il prezzemolo per consuetudine.
Parliamo di ignoranza, stupidità, disadattamento, sociopatia, degrado culturale, squilibri psicologici ma non scomodiamo il razzismo, suvvia.
Se Salvini, la Melandri, la Le Pen, Farage o chiunque altro non fossero mai venuti al mondo o si esprimessero con la flemma e gli argomenti di Osho, il Mancini avrebbe urlato “scimmia” ugualmente perché il pregiudizio razziale affonda le sue radici nella notte dei tempi e l’ultimo secolo ha fornito abbondante spazzatura semantica utile per gli stolti, senza necessità di attingere dalla contemporaneità o bisogno di farsi condizionare dal clima circostante.
Sto negando che la nostra società sia immune dalla stupidità, dal disagio, dalle semplificazioni, dall’ottusità e dall’ignoranza, dall’egoismo, dalla paura del “diverso”?
È lecito non essere d’accordo con quelle idee, pure detestarle è contemplabile (a patto che si accetti di analizzare razionalmente il tema). È verissimo che i toni sono spesso forti, i concetti terra-terra, le parole ruvide (ad esempio il concetto di “ruspa” come espediente narrativo è efficace ma non invita certo alla riflessione filosofica…) ma non posso pensare che una persona sana di mente possa venire influenzata da un simile registro comunicativo e spinta alla violenza.
Lo confesso, a volte dubito dell’autonomia di pensiero delle persone ma mi affido alla realtà: se queste dichiarazioni di politici avessero così tanta influenza sugli istinti degli esseri umani… Mio Dio… Ci sarebbe la guerra civile o un selvaggio tutti-contro-tutti quotidiano soprattutto in quei quartieri dove esiste una critica convivenza tra residenti e immigrati.
Allora, questi toni forti, aggressivi collegati a un tema così controverso possono ispirare qualche squilibrato mentale?
Non lo escludo, l’umanità custodisce una fisiologica quantità di persone borderline (in riferimento a questo tipo di fenomeni) che, fortunatamente, sono ampiamente minoritarie rispetto alla totalità.
Possono esasperare l’animosità di cittadini “normali” spingendoli ad assumere atteggiamenti intolleranti?
Se ci riferiamo ad esempio a situazioni come questa nella quale la collocazione di immigrati si innesta in una situazione pre-esistente di degrado possiamo ritenere che le persone coinvolte non abbiano certo bisogno di suggerimenti propagandistici per elaborare idee e modulare reazioni e comportamenti (giusti o sbagliati che siano).
Oggettivamente, esistono situazioni molto diverse e complesse che hanno prodotto sia convivenza civile, sia situazioni di conflittualità. Va da sé che i non rari casi di violenza eclatante tra cittadini e immigrati e tra gruppi di immigrati (evito di portare esempi di cronaca nera individuali con protagonisti gli stranieri) oscurano le situazioni positive: chi li vive in presa diretta, anche in contesti non di degrado generale quindi estranei a logiche di “capro espiatorio”, non può certo sviluppare un approccio positivo. Chi li vive di riflesso, attraverso i giornali o i media, di certo non desidera averli sotto casa e qualsiasi altra considerazione diventa irrilevante.
Il ragionamento è: “Gli immigrati non sono tutti pericolosi ma… perché devo rischiare proprio io?”
Tutto questo genera un comprensibile sentimento di insicurezza e diffidenza che si manifesta talvolta in modo del tutto ingiustificato dalla reale “minaccia” ma che, in ogni caso, trovo un po’ troppo sbrigativo e comodo etichettare come “intolleranza razziale e/o xenofobia indotta dalla propaganda dai politici” come se le persone in questione fossero dei bambini a cui viene raccontata la storia dell’uomo nero per spaventarli.
La propaganda esiste e si innesta su sentimenti pre-esistenti di paura e preoccupazione cavalcandoli a volte in modo strumentale alla propria battaglia politica ma non può certo inventarsi dal nulla i fatti o far credere che un coleottero sia un dinosauro. Infine,non dimentichiamolo, la propaganda e la distorsione della realtà viene adoperata sia dal fronte anti-immigrazione, sia dal fronte pro, per fini politici opposti (quello dei “pro-immigrazione” a mio avviso, e non solo mio, non è propriamente tra i più nobili).[/fusion_text][fusion_text]
La realtà, questa sconosciuta
Il fenomeno ha due dimensioni critiche macro: umanitaria in primis e gestionale subito dopo.
Di quella umanitaria trovo superfluo parlarne.
Dal punto di vista gestionale esiste un mosaico di criticità su vari livelli:
Centri di accoglienza insufficienti, male organizzati, non in grado di ospitare in maniera dignitosa le persone con falle clamorose in termini di vigilanza e presidio.
Politiche di distribuzione sul territorio (nazionale e non) improvvisate e non condivise.
Questi sono dati di fatto.
La situazione più diffusa è l’opposizione all’accoglienza: cittadini e sindaci sono geneticamente xenofobi oppure fatti come questo e questo collegati a statistiche come questa, proiettate sullo sfondo di questa realtà (dati del 2013 ma verosimilmente tuttora validi se non peggiorati) compongono un quadro su cui è comprensibile sviluppare avversione?
In sintesi:
– constatare che a monte non esiste un controllo su chi entra (è buon senso pensare che per quanto in minoranza, una presenza di malintenzionati potenzialmente ci sia);
– essere consapevoli che in questo periodo storico le opportunità di lavoro sono estremamente scarse per tutti (immigrati e non, bene intenzionati e non);
– sapere che coloro (quanti esattamente non si sa) proseguono il viaggio verso i paesi del nord vengono in numero considerevole rispediti indietro (disperdendosi nel territorio italiano);
…è così disdicevole coltivare preoccupazione su come queste persone troveranno i mezzi per sopravvivere in un contesto di semi-anarchia, disorganizzazione, mancanza di assistenza e controllo?
È lecito biasimare chi teme che alcune (“alcune” intese come percentuale minoritaria di un numero complessivo in crescita) di queste persone finiscano per ingrossare le fila della malavita o ricorrere a furti o atti criminali per disperazione o per scelta deliberata?
In questo senso gli episodi non mancano, credo non serva portare esempi.
Atteggiamenti ostili esagerati, xenofobi o, appunto, di razzismo ideologico esistono ma nel complesso le persone comuni si confrontano, chi nella realtà quotidiana, chi proiettandolo nella propria realtà possibile, con un reale e concreto problema di sicurezza e ordine pubblico.
Biasimare, colpevolizzare, ridicolizzare questa percezione credo sia un grave errore.
Altrettanto grave è strumentalizzare (la propaganda è trasversale agli schieramenti) un episodio come quello di Fermo facendolo diventare paradigma di una presunta predisposizione aggressiva e violenta (nella sintesi “razzista”, la famosa etichetta prezzemolo) dell’italiano medio nei confronti dell’immigrato.
Due pesi e due misure: la vera discriminazione basata sulla razza
Di questo —> “DISABILE PICCHIATO A MORTE” avete per caso discusso animatamente su facebook o sentito parlare nei talk show in prima serata?
Son certo che la risposta è no per entrambi i casi.
E avete per caso sentito qualcuno chiamare in causa “responsabilità indirette” di qualche politico reo di aver fomentato l’odio verso i disabili e gli anziani? No di certo, ovviamente.
Eppure, nonostante l’assenza di una qualsivoglia “forma pensiero latente” indotta dalla politica, questi episodi raccapriccianti (contro anziani e disabili) accadono ugualmente, senza alcun mandante morale, senza cattivi maestri con un nome, un simbolo, una ideologia a suggerirne la concretizzazione.
E quindi?
Se la mia visione iniziale è corretta (cioè che dietro a violenze e soprusi verso il prossimo a monte c’è sempre e soltanto un disagio personale di chi li compie declinato a valle con metodi e strumenti variabili a seconda dei casi) e quindi non esiste una differenza intrinseca di valore tra episodi di cronaca analoghi…
…come mai la vicenda dello sfortunato Emmanuel Chidi Nnamdi ha avuto una così vasta eco e un’inconsueta partecipazione e attenzione popolare quanta nemmeno il più efferato caso di femminicidio o omofobia ha minimamente sfiorato?
Perché l’assassino preterintenzionale è un italiano, la vittima un immigrato di colore e la scintilla del fatto un grande classico del repertorio di insulti verso gli africani.
E soprattutto perché sul campo dell’immigrazione si gioca una partita estremamente importante a livello politico e strategico.
Mi chiedo: la violenza verso un disabile o un anziano non è aberrante e disgustosa?
Allora, come mai questi casi scivolano via sulla superficie liscia della cronaca mentre quando di mezzo c’è un immigrato scoppia il finimondo?
Siamo cresciuti chi con le immagini dei bambini del Biafra alla fine degli anni 60, chi con quelle dell’Etiopia degli anni 80.
“Finisci gli spinaci, pensa ai bambini in Africa che muoiono di fame!”.
Lo stereotipo del bimbo africano denutrito con il sotto testo “è colpa anche tua!” ce l’abbiamo talmente in profondità nella testa da diventare un filtro spersonalizzante della persona di colore che ne cancella i tratti individuali tramutandolo in un paradigma storico.
Dietro all’essere umano con la pelle scura vediamo il simbolo della nostra cattiva coscienza.
Il livello di analisi della condotta individuale, il tema della responsabilità e della contemporaneità dell’identità del singolo si dissolve.
Sia l’immigrato per bene, equilibrato, civile, sia l’immigrato incivile e delinquente non ha nulla a che fare con quel bambino denutrito tormentato dalle mosche.
Purtroppo molti tra coloro che accusano gli altri di razzismo o disumanità non riescono (o non vogliono) emanciparsi da questa fuorviante sovrapposizione, scivolando nella deleteria visione uguale e contraria: il ribaltamento della prospettiva sulla disuguaglianza basata sulla razza in base alla quale un bianco e un africano immigrato (volendo gli immigrati in generale) non sono sullo stesso piano: a parità di comportamenti e bisogni il secondo gode di concessioni, attenuanti, margini di tolleranza e comprensione che l’autoctono non ha.
Ad esempio, quando l’autore di violenze è un immigrato, dal fronte pro-immigrazione non partono analisi sociologiche e politiche, non si parla di pericolosità sociale di individui o gruppi, non ci si interroga sulle derive di un fenomeno fuori controllo: si da per scontato che sia un fatto che ha a che fare con la delinquenza comune, il disagio sociale, uno squilibrio mentale e lo si archivia in fretta, dimenticandolo mentre, come abbiamo visto, a ruoli invertiti la medesima ragionevole lettura viene sepolta automaticamente sotto sovrastrutture e interpretazioni di altra natura.
L’immigrato è scusabile, l’italiano no.
Come se l’africano, il magrebino o il cingalese delinquente fossero poveri selvaggi usciti dall’età del bronzo e quindi non soggetti alla medesima logica della responsabilità personale di tutti gli altri esseri umani: questo è razzismo.
L’africano sfortunato (per colpa mia) è diventato una sorta di archetipo.
La vicenda di Fermo rappresenta la declinazione perfetta di questo modello culturale in quanto manifesta e ripropone la lezione imparata a memoria in base alla quale esiste un presunto soggetto forte (rappresentante di generazioni e generazioni di occidentali colonialisti spietati e crudeli) che prevarica un presunto soggetto debole (il mite “selvaggio” incarnante generazioni e generazioni di indigeni sottomessi e rapinati).
I due protagonisti della vicenda (l’omicida e la vittima), intesi come individui ognuno con il proprio percorso esistenziale, servono solo a mettere in moto l’ingranaggio del riflesso condizionato poi sbiadiscono, scivolano sullo sfondo, lasciando il palcoscenico alla rappresentazione catartica della crocifissione di quei soggetti che osano questionare l’attuale gestione dei fenomeni migratori. L’immigrazione, in questa visione, sarebbe il giusto contrappasso per le colpe dell’occidente e quindi fenomeno per certi versi riparatore.
Come a dire: “Hanno diritto di riprendersi ciò che è stato loro tolto”.
Una specie di dogma, di obbligo morale che azzera qualsiasi discussione sui rimedi da mettere in atto per gestire la situazione.
Il buon senso soccombe di fronte ad affermazioni come “l’emigrazione è un fatto epocale e non si può fermare”, “l’emigrazione è un diritto” in quanto spediscono i ragionamenti in un’orbita astratta, arbitraria, ideale e quindi totalmente inconciliabile con i requisiti di urgenza che il piano di realtà presenta.
Se idealmente parlando volessimo scendere a patti con le oggettive condizioni di bisogno di queste persone (approfondirò il tema in seguito), ha senso chiudere gli occhi di fronte alla semplice e cristallina evidenza che l’occidente e l’europa in particolare per limiti fisici e materiali non può accogliere tutti i poveri del mondo?
Voglio forse negare gli orrori, i genocidi, le rapine, le violenze di eserciti e dittatori foraggiati dagli stati occidentali e dalle multinazionali che ancor oggi dilaniano il continente nero?
NO.
Ma è ragionevole, a fronte di questa situazione che non si può certo risolvere in un paio di mesi, negare che l’afflusso di decine di migliaia di persone in paesi (come l’Italia) di per sé alle prese con gravissimi problemi economici senza precedenti dal dopoguerra, necessiti OGGI (non l’anno prossimo, non fra 50 anni) di una qualche forma di limitazione, regolamentazione e controllo?
È essere razzisti denunciare ciò che il buon senso (rieccolo) suggerisce e cioè che decine di migliaia di persone inserite disordinatamente in società impreparate ad accoglierli in maniera dignitosa può essere, questo sì, foriero di concrete manifestazioni di violenza da ambo le parti?
È filantropia e solidarietà invitare implicitamente esseri umani a rischiare la vita in traversate pericolose senza poter poi offrire un’esistenza degna di questo nome?
Nel nostro paese ma non solo, una fetta considerevole di persone opera, su questi aspetti, un’azione reiterata e massiccia di rimozione, resistente a qualsiasi tipo di ragionamento logico.
“Il problema non esiste, il problema non esiste, il problema non esiste, il problema non esiste”
“Chi mi dice che esiste è brutto, sporco e cattivo, Chi mi dice che esiste è brutto, sporco e cattivo, Chi mi dice che esiste è brutto, sporco e cattivo.”
Le argomentazioni di questi sostenitori del dogma rimangono costantemente astratte, di indirizzo ideale, non scendono mai sulla terra. Rimanere in quello spazio dei desideri è decisamente rassicurante. Lì non ci si sporca le mani con decisioni, soluzioni, possibili errori. Non si urta la sensibilità di nessuno, anzi, si fa sempre bella figura, ci si sente buoni, migliori di quella sottospecie di razzisti egoisti incapaci di venire a patti con la propria colpa di essere dei privilegiati.
Si sprofondi gioiosamente in un rassicurante caos globale allora! Evviva!
Sorprendentemente qualche esponente di rilievo lascia l’orbita e rientra nell’atmosfera terrestre, attratto da un barlume di realismo.
Che differenza esiste tra il “rischiamo di essere travolti” di Fassino e il “pericolo invasione” di Salviniana memoria?
Sfumature semantiche: il concetto è il medesimo ma il secondo viene etichettato come “razzista xenofobo”.
“Prima gli italiani” = nazionalismo = razzismo = fascismo
Di fronte alla scarsità di risorse generale da un lato e al trattamento dedicato agli immigrati, affermare l’esigenza di assegnare priorità di attenzione verso i propri concittadini viene interpretato da chi sostiene l’immigrazione nella maniera espressa dall’equazione di cui sopra, basandosi sul seguente ragionamento:
“gli esseri umani sono tutti uguali, il concetto di popolo/comunità è superato ergo teorizzare priorità nel soddisfacimento di bisogni nasconde una discriminazione basata sul concetto di cittadinanza / appartenenza a una nazione quindi razza quindi, nel complesso, una matrice fascista”.
L’affermazione iniziale è corretta. Il resto è un’accozzaglia di idee e deduzioni collegate da “quindi” e “ergo” del tutto arbitrari e alquanto discutibili.
Su questa piattaforma ideologica si basa il successivo ragionamento che si ricollega al ribaltamento di prospettiva di cui ho parlato precedentemente: l’immigrato è per definizione più bisognoso.
A parte le persone che giungono in Italia per sfuggire a un reale e concreto pericolo di morte a causa di guerre, repressioni politiche, terrorismo o altro (componente assai minoritaria del tutto che merita ovviamente il massimo dell’assistenza) possiamo annoverare gli altri, come già detto, tra le fila degli immigrati economici cioè individui che hanno abbandonato situazioni di povertà più o meno estrema o comunque un contesto economico depresso e privo di prospettive in generale.
Aspirazione giustissima.
Ripeto “situazioni di povertà più o meno estrema, un contesto economico depresso e privo di prospettive”.
Continuo?
Non si tratta di fare classifiche delle disgrazie e dei problemi: siccome parto dal presupposto che gli esseri umani sono uguali, situazioni di povertà, di bisogno dal mio punto di vista sono UGUALI.
Quindi l’attuale situazione in cui ci viene detto che non ci sono risorse ma in cui gli immigrati sono assistiti al 100% mentre migliaia di altre persone vengono ignorate, ai miei occhi è profondamente e umanamente ingiusto.
“Allora vedi? Se siamo tutti uguali dire Prima gli italiani è altrettanto ingiusto!”
NO, non lo è.
Sapete perché?
Perché prendersi cura prioritariamente delle persone residenti che fanno parte del tessuto sociale esistente è un atto doveroso in quanto soggetti che hanno contribuito o contribuiscono al mantenimento, al benessere e allo sviluppo della società in cui viviamo (che siano bianchi, neri o gialli non fa differenza).
Presidiare, prevenire o quantomeno limitare situazioni di disagio occupazionale, abitativo, assistenziale evita la disgregazione delle comunità e presidia il “contratto sociale” esistente al loro interno.
Certo, i fondi che oggi vengono dirottati verso gli immigrati di recente o quotidiano arrivo non risolverebbero i problemi di tutti i milioni di italiani in difficoltà ma rendere manifesto il disinteresse delle istituzioni e un’impostazione discriminante al contrario corrisponde a seminare, questo sì, odio, rancore e frustrazioni: la famosa “guerra tra poveri”.
Infatti, solo le persone che non sentono esercitata su di sé (o su chi identificano come proprio prossimo più vicino) alcuna ingiustizia possono guardare all’altro bisognoso con il dovuto sguardo solidale.
Ignorare questi dati di fatto o aggredirli con disquisizioni metafisiche e idealistiche riguardanti un mondo perfetto uguale per tutti, pieno di fratellanza e amore che dovrebbe materializzarsi nella testa delle persone quasi per magia significa viaggiare in una realtà parallela, sconnessa dalle evidenze antropologiche più basilari (e dal buon senso).
Nascondere a se stessi le implicazioni concrete, urgenti poste da un fenomeno di queste proporzioni non lo risolve.
Demonizzare che richiede un approccio diverso non da risposte di alcun tipo ai cittadini, anzi ne aumenta la frustrazione.
Mantenere la “prospettiva ribaltata” di cui ho parlato rafforza le ragioni di chi usa le tragedie per dare sfogo alle proprie idee malsane (su entrambi i fronti).
Spiegazione semplificata della causa prima della crisi sotto forma di dialogo immaginario tra un cittadino informato e un cittadino disinformato.
A: Secondo te perché c’è la crisi?
B: Che domande… Perché abbiamo un debito pubblico gigantesco.
A: Ah… E da cosa è causato secondo te ‘sto debito?
B: Ovvio. Buttiamo nel cesso soldi pubblici per opere che rimangono a metà o che non servono a nulla, per le auto blu, gli stipendi a dipendenti pubblici che non fanno un cazzo, gli stipendi e le pensioni di politici che non fanno un cazzo pure loro se non prendere tangenti per fare le opere pubbliche incompiute di cui sopra. Vedi? È un cane che si morde la coda. E tutti questi soldi poi li vengono a chiedere a me, con le tasse. E poi siccome devo pagare sempre più tasse ho meno soldi da investire nella mia azienda e nei consumi e così non si “cresce”. Per forza siamo in crisi.
A: Hai detto “Buttiamo nel cesso soldi” giusto?
B: Sì, certo è così. Buttati nel cesso.
A: Ti faccio una domanda: lo stipendio del politico, i soldi che vanno alle imprese che costruiscono le famose opere incompiute. Mettiamoci dentro anche i soldi delle tangenti in tasca al politico e lo stipendio del dipendente pubblico che non fa un cazzo dalla mattina alla sera. Ecco tutti sti soldi dove vanno a finire? Vengono bruciati nel caminetto o gettati nel cratere dell’Etna?
B: e che cazzo ne so!? Andranno nelle tasche di tutta sta gente no? Non certo a me!
A: La butto li… Secondo me tutta sta gente quei soldi li usa per vivere, magari alla grande, ma per vivere.
B: In che senso?
A: Li spende quei soldi.
B: Eccerto che li spendono! Mica son scemi.
A: Quindi sei d’accordo con me se dico che non sono soldi buttati nel cesso. In realtà sono soldi che prima o poi, un un modo o nell’altro, finiscono al commerciante, al concessionario d’auto, al benzinaio, al supermercato, all’agenzia di viaggi, al dentista, alla palestra, all’hotel, al barista, al ristorante. Che dici?
B: Beh… sì… Chiaro che è così.
A: Ok, quindi possiamo dire che non sono soldi che finiscono nel water bensì sono soldi che finiscono nell’economia reale, contribuendo alla sopravvivenza di attività economiche private. Lo possiamo dire?
B: Sì, ok. Lo possiamo dire. Rimane il fatto che se quei soldi non fossero spesi così malamente…
A: Ok, son d’accordo. Ma è un problema diciamo “etico”, di corretto e positivo utilizzo di risorse, non “economico”. Non sono soldi che spariscono nel nulla. Potrebbero essere impiegati meglio, ma questo non ha nulla a che fare con la crisi.
B: Sia come sia, son soldi che lo stato tira fuori e se non li tirasse fuori ci sarebbe meno debito pubblico o no? Se continui a spendere più di ciò che incassi è ovvio che ti indebiti.
A: Ti do una notizia. Più o meno dai primi anni 90 cioè ormai da 25 anni, lo stato ogni anno spende meno di ciò che incassa con le tasse.
B: Vuoi dirmi che con tutti sti sprechi lo stato ha il bilancio positivo da 25 anni? Maddai! Questa te la sei inventata. È carina comunque, complimenti.
A: Tranquillo, non me la son inventata. Sono dati della ragioneria di stato. Si chiama “Avanzo primario”.
B: Avanzo Primario? Che significa?
A: Significa che fatti i conti di entrate e uscite dello stato, il risultato è che ci son più entrate che uscite. Tutto questo, però, prima di calcolare gli interessi sul debito. PRIMA degli interessi, quindi Primario. Chiaro?
B: Ah, vedi che c’è l’inghippo. Fai presto a dire che spende meno ci ciò che incassa… gli interessi mica puoi dimenticarli, son capaci tutti. È come se io decidessi di non pagare alla banca gli interessi del mio mutuo… Mi piacerebbe ma non funziona così!
A: Certo, ma lo Stato non è ne un’azienda, ne un privato cittadino. Non valgono le stesse regole.
B: Ah no? Cos’è più bello lo Stato? Se ne può fregare dei debiti? Se vuole soldi si deve indebitare, così è. E se ne spendesse meno, invece di aumentare le tasse, ne chiederebbe di meno e ci sarebbe meno debito.
A: Che spenda tanto o poco, il debito ci sarebbe uguale e crescerebbe in continuazione. Perché sotto ad una certa soglia di spesa lo Stato non può andare, a meno di tagliare pesantemente servizi e investimenti pubblici. Cioè smettere di essere “Stato”.
B: Mettila come vuoi ma se servono soldi li devi chiedere a qualcuno che ce li ha, tipo le banche. Non si scappa. Tutti gli stati hanno a che fare col debito pubblico.
A: Ok. Ti faccio un esempio: immagina che io sia un produttore di miele e che registri su un foglio excel tutti i vasetti di miele che dal mio laboratorio mi porto a casa per consumarlo. 10 vasetti sto mese, 7 il mese prossimo e così via. Immagina poi che quel documento lo chiami “Debito Mio”.
B: Beh non sarebbe un vero debito perché saresti, per così dire, in debito con te stesso!
A: Bravo. Immagina che esista uno Stato che, invece di miele nel mio esempio, produca soldi, moneta, la stampi. E che ne possa produrre quanta ne vuole, come io potrei aggiungere un’arnia in più per ospitare più api e fare più miele in base alla quantità di miele che mi serve produrre.
B: Lo stato che si stampa i soldi di cui ha bisogno per fare il proprio mestiere. Ahaha! Sarebbe bello ma non funziona così. I soldi non nascono dal nulla. Non esistono stati che hanno questa fortuna.
A: Ti do un’altra notizia. Più o meno il 90% degli stati su questo pianeta ha questa fortuna. Hanno la loro moneta e se la stampano.
B: E il resto? Quel 10% che non ce l’ha chi sono? Sicuramente degli scemi!
A: Scemi o no, il sistema bancario e finanziario è estremamente felice di questa cosa perché per essi non c’è cliente migliore di uno stato a cui prestare soldi.
B: Perché?
A: Perché uno stato generalmente è sempre in grado di onorare i propri debiti: è sufficiente per lui continuare a prelevare risorse tramite le tasse. Senza dimenticare che il guadagno di una banca viene dagli interessi sul prestito che eroga quindi è meglio prestare 1000 che 100 e solitamente uno stato chiede 1000 non 100: è il cliente più “grosso” (e solvibile) che una banca possa sperare di avere.
B: Ma questi paesi che si sono lasciati fregare chi sono?
A: Si tratta di una manciata di paesi africani e dell’Ecuador. E soprattutto dei paesi che adottano l’€uro.
B: Vuoi dire che nella… Eurozona? Si dice così? Comunque, vuoi dirmi che gli stati che hanno l’€uro invece di produrre il proprio miele senza chiedere niente a nessuno, si son messi a chiederlo a qualcun altro indebitandosi?
A: Proprio così.
B: Cazzo. Ma scusa, allora chessò gli USA o il Giappone o l’Australia… anche loro parlano di debito pubblico… com’è sta storia?
A: Semplificandotela un po’ ti basti sapere che loro hanno un foglio excel su cui annotano i vasetti di miele che loro stessi producono. Solo che il loro excel lo chiamano “DEBITO PUBBLICO”. Ma è uno stupidissimo foglio excel che serve a tenere uno storico.
B: Cazzo. Quindi? Tutta sta storia che non ci sono soldi e che quindi bisogna tagliare la spesa pubblica e tutto il resto è perché l’Italia non ha la propria moneta da gestire e la deve chiedere in prestito a debito?
A: Esatto.
B: A occhio è una montagna di soldi!
A: Già. Ogni anno più o meno 80 miliardi di €uro di soli interessi per pagare i quali, visto che superano il famoso avanzo primario (cioè i soldi che lo stato riesce a “mettere da parte”), lo stato deve chiedere in prestito altri soldi. Questo è un cane che si morde la coda. Un cane mostruoso e gigantesco.
B: Per questo il debito non scende e non scenderà mai! È pazzesco!
Quindi, quando avevamo la Lira il famoso debito pubblico era un foglio di carta con scritti sopra dei numeretti come pro memoria?
A: Semplificata un po’ ma il senso è quello.
B: Quindi mi stai dicendo che il signor Draghi e la BCE potrebbero produrre tutta la moneta che vogliono per soddisfare le necessità degli stati senza tutte ste cazzo di austerità e tasse e casini vari?
A: Esatto. Non mi risulta che il signor Draghi abbia una miniera da dove estrae gli €uro e che questa miniera prima o poi si esaurisca. Basta premere un bottone e si generano tutti i soldi di cui c’è bisogno. Dal Nulla.
B: E vabbè… Però se diamo in mano ai politici quel bottone sai che disastri combinano? Butterebbero i soldi dalla finestra per scopi elettorali o per aiutare i loro “amichetti”!
A: Torniamo da capo. La moneta è uno strumento. È colpa del bisturi se un chirurgo incompetente opera il ginocchio sano al posto di quello con il menisco lacerato? No. Il bisturi fa ciò che chi lo adopera decide di fare. Che facciamo? Vietiamo l’uso del bisturi perché qualcuno lo usa in maniera criminale? Non mi sembra intelligente. Invece, bisogna scegliere politici che prima di tutto sappiano che esiste quel bottone e poi che lo sappiano usare secondo gli obiettivi e i valori che noi cittadini indichiamo. Ma se noi cittadini non sappiamo che esiste quel bottone e continuiamo a star dietro a stronzate come gli sprechi e la corruzione come causa della crisi non ne veniamo più fuori e sarà una tragedia.
B: Quindi la chiave è prima di tutto è recuperare la gestione della moneta?
A: Esatto. Di fronte a un problema bisogna ragionare per priorità. Se hai un amico o un familiare in preda a una crisi cardiaca, ti preoccupi di salvargli la vita o perdi tempo a ricordargli che deve mettersi a dieta perché il suo stile di vita alimentare è scorretto?
B: Beh ovvio. Mi occupo prima dell’infarto!
A: Non è così ovvio. Qui in Italia ci sono molti che ci stanno dicendo che l’infarto non è il problema principale, altri che l’infarto non esiste proprio, altri ancora che è ora di occuparci della dieta. Insomma, prima si torna in possesso di tutti gli strumenti economici, smettendoci di farci dissanguare, poi penseremo ai corrotti, ai furbi e ai fancazzisti (che per la cronaca ci son sempre stati anche quando qui in Italia le cose andavano molto meglio di adesso).
È chiaro adesso perché c’è la crisi?
B: Sì. C’è la crisi perché siamo tutti disinformati.
A: Bravissimo. Come in molti altri campi dove la conoscenza specifica è determinante (prova a pensare al tuo meccanico o all’idraulico) se non sei del settore ti devi fidare di ciò che ti dicono essere il problema e sperare che siano onesti.
B: Ma io non posso mettermi a studiare economia alla mia età…
A: Tu sei la dimostrazione che non serve. In 5 minuti hai colto la chiave di lettura principale del problema. Per avere familiarità con l’ABC dell’Economia, credimi, non serve morire sui libri: è molto più semplice di quanto ci hanno sempre fatto credere. Per certi versi è di una semplicità imbarazzante.
Il fatto che qualcuno sa come funziona o potrebbe funzionare e molti altri no (cioè noi) è l’origine di tutta sta faccenda. Chi tra le forze politiche e sindacali, media e opinionisti vari, non informa primariamente di questa cosa del “Bottone” e continua a parlare di diete e stili di vita, è un complice di una gigantesca e criminale forma di rapina.
Ecco. Se ritieni che la crisi origini dal fatto che “non abbiamo fatto le riforme” oppure ai politici che “se sò magnati tutto” allora… ti meriti la crisi.
Se invece questo dialogo immaginario ti ha messo la pulce nell’orecchio, non ti resta che approfondire il tema: lì fuori ci sono tutte le informazioni che vuoi. Basta un po’ di impegno. Nel 2016 l’ignoranza non è più scusabile. Ne va della tua vita.
P.S.
In questa mappa è possibile ammirare la localizzazione geografica delle nazione PRIVE di una propria moneta. L’€urozona è in compagnia di qualche sfortunato paese africano (che adotta suo malgrado il Franco CFA, agganciato come valore all’€uro) e dell’Ecuador (che utilizza il dollaro U$).
Interessante vero?
Devo raccontare un’esperienza veramente straordinaria.
Faccio affidamento sull’apertura mentale di chi legge perché le circostanze in cui mi son trovato hanno dell’incredibile.
Poco fa, mi è capitato tra le mani questo volantino digitale…
… immediatamente sono stato scosso da un impetuoso senso di vertigine.
Come in uno stato di trance lucida, la mia mente è stata invasa da suoni distorti, spezzoni di discorsi già sentiti, volti di personaggi che sentivo di conoscere ma che non riuscivo a mettere a fuoco.
Non era affatto piacevole, mi son sentito totalmente disorientato (preciso che non faccio uso di stupefacenti e sono quasi astemio).
Dopo una decina di secondi, piano piano, questo caleidoscopio confuso ha cominciato a farsi più definito e come d’incanto mi è apparso nitidamente lo stesso volantino digitale che poco prima avevo davanti agli occhi, sul monitor del PC.
Non riuscivo a cogliere il senso di quello strano fenomeno, a prima vista era identico, non capivo. Poi ho osservato con più attenzione… era tutto uguale in effetti: solo le facce e i nomi erano diversi!
Tutto il resto era identico, nemmeno un pixel era cambiato.
Non credevo ai miei occhi!
Appena il tempo di cogliere e mandare a memoria i dettagli fondamentali ecco che l’immagine scompare: come quando al mattino ci si sforza di mettere ordine nei ricordi di un sogno che ci ha particolarmente colpito, mi sono armato di mouse e photoshop e ho ricostruito quel sorprendente quadro prima di dimenticarne il contenuto.
Ecco qui la mia ricostruzione:
Non capita tutti i giorni di ricevere un messaggio quantistico dall’universo!
Qual è questo messaggio? Il movimento 5 stelle utilizza i medesimi argomenti, linguaggi e concetti utilizzati dalle armate mainstream governative e confindustriali per comunicare con il pubblico.
Cambiando nomi e facce si ottiene un quadro comunicativo identico, perfettamente sovrapponibile e coerente con l’idea grossolana, semplificata e manipolatoria che i “poteri forti” (semplifico per brevità) hanno inoculato nell’opinione pubblica.
Preciso che, anticipando le rimostranze di qualcuno che sta leggendo, non ha alcuna importanza che poi durante gli interventi previsti dalla conferenza venga criticato l’assetto monetario europeo, la perdita di sovranità monetaria e indicate le conseguenze sulla politica economica e sociale di una nazione (eventualità tutt’altro che scontata conoscendo il livello sconfortante di competenza dei rappresentanti del movimento 5 stelle…): ciò che è determinante è l’impressione che si ricava dal venire a contatto con questi strumenti di diffusione informativa. L’uomo della strada, il cittadino medio (e pure il grillino medio) che sappiamo essere superficiale e bombardato a 360° da una propaganda orientata in una sola direzione, cosa trattiene nella testa “prendendo in mano” il volantino? (Quello originale o quello da me inventato non cambia, appunto…). Trattiene l’idea che la situazione drammatica in cui siamo immersi è causata dal debito pubblico e dalle tasse (la vignetta è determinante nel determinare la chiave emotiva della comunicazione) che provengono dalla cattiva amministrazione dei soldi pubblici (sprechi, corruzione, ecc.) con a corollario lo sperpero o il non utilizzo dei fondi “che l’europa ci da e che noi non sappiamo usare”. E quale reazione mentale pavloviana si innesca successivamente?
“Maledetti politici ladri”
Serve partecipare a una conferenza per approfondire un concetto così banale? No… quindi che fa il cittadino medio? Se ne sta a casa.
Così, ammesso e non concesso che succeda, non entra in contatto nemmeno con eventuali flebili disordinati e confusi riferimenti alle vere cause della crisi.
Fantastico.
Quindi che differenza passa a livello comunicativo tra il mainstream neo-liberista pro-Euro e il Movimento 5 Stelle? Nessuna!
Entrambi comunicano alla stessa maniera, battendo sui medesimi tasti, stimolando con la medesima intensità i medesimi recettori nella testa delle persone.
Dov’è l’elemento di rottura, di creazione di consapevolezza, di informazione corretta sulle vere cause che stanno distruggendo questo paese ?
Io non lo vedo perché semplicemente, nella sostanza, nel Movimento 5 Stelle non esiste!
Che sia frutto di incompetenza e ingenuità oppure “by Design”… ogni giorno che passa, trovo conferme: il Movimento 5 Stelle è Gatekeeping allo stato puro.
Questa laica trinità viene celebrata, con un instancabile e ossessivo accanimento, da almeno 3 anni a questa parte, nelle liturgie dei tecnici e dei politicanti di governo, assistiti dal megafono dei mass media allineati.
In realtà, al di la delle facce che si succedono sul palcoscenico, in tutto ciò non c’è nulla, proprio nulla di nuovo, di innovativo, anzi, comincia a essere un ritornello discretamente noioso: è in playlist da 50 anni!
Ovviamente chi non ha memoria storica, invece, come il pesce rosso, non si annoia mai e batte il piedino a tempo come fosse una new entry nella hit parade.
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“Ridurre lo Stato per fare grande la Nazione”
Uno slogan brillante, vero?
La quintessenza dell’ideologia liberista (l’entità statale vista come palla al piede della Nazione a prescindere) mixata con lo slancio visionario del politico di razza.
Uno slogan in formato social, twitter-friendly: il nostro presidente del consiglio è sempre sul pezzo.
Purtroppo per lui, è un banalissimo fake.
In realtà, questo slogan è stato coniato grossomodo 40 anni fa da un distinto signore argentino, che risponde(va) al nome di Jose Alfredo Martinez de Hoz,tornato alla casa del padre nel 2013 con 87 primavere sul groppone.
Ho inserito il finto tweet renziano per rendere tangibile un linguaggio politico-economico senza tempo e senza patria, totalmente decontestualizzabile e svincolabile dal momento storico che lo ha generato e, soprattutto, trasferibile a piacimento bidirezionalmente nello spazio e nel tempo senza timore di tradire la propria vera età e provenienza originaria.
Parole e concetti a proprio agio nel 1976 in Argentina come nel 2015 in Italia perché il filo conduttore ideologico è il medesimo:
Spingere lo Stato (e quindi il controllo democratico) ai margini del sistema economico per lasciare campo libero al Mercato che, in quanto massima espressione del concetto di competitività, è l’unica entità in grado di produrre una razionale allocazione delle risorse (così dicono).
Qui sta l’inquietante noia liberista: sempre la solita storia da 50 anni a questa parte.
Secondo questa linea di pensiero, lo Stato (che nella sua essenza è “semplicemente” un ente organizzatore) è il male da estirpare.
A differenziare l’apparato pubblico Svedese da quello della Corea del Nord per questi signori esistono semplici e trascurabili sfumature: in entrambi i casi c’è sempre e comunque troppo Stato.
Non è determinante la qualità degli uomini chiamati a dirigere la cosa pubblica: in quanto soggetti “regolatori” sono in partenza rappresentanti di una anomalia.
Gli elementi di monotona ripetitività storica, purtroppo, non riguardano esclusivamente il linguaggio ma anche e soprattutto i provvedimenti di politica economica che le parole sottendono e, quasi sempre, nascondono.
La lista di nazioni che hanno subito la cura liberista è discretamente affollata (Cile, Bolivia, Russia, Regno Unito per citare i più eclatanti) ma a questo punto restiamo in Argentina che come esempio è, come si dice, paradigmatico.
Chi è José Alfredo Martinez de Hoz ?
Rampollo di una delle più influenti famiglie latifondiste argentine, nei primi anni sessanta del secolo scorso, diventa lobbista per Acindar, uno dei maggiori produttori di acciaio del paese, divenendone amministratore delegato nel 1968. Sette anni più tardi, sfruttando gli storici rapporti familiari con le forze armate, reprime una rivolta sindacale all’interno dei propri stabilimenti che portò all’arresto di oltre 300 lavoratori (la maggior parte dei quali finirono “misteriosamente” assassinati).
Un palmares di tutto rispetto non c’è che dire.
Chi meglio di lui poteva assumere il ruolo di ministro dell’Economia dopo un colpo di stato?
Nessuno.
Infatti, fu scelto da Jorge Videla come plenipotenziario del dicastero più importante del governo, poltrona che conservò dal 1976 al 1981, passando alla storia come l’architetto delle riforme strutturali liberiste implementate con la rapidità e radicalità che solo una dittatura militare può garantire, in un contesto di Shock sociale.
Di che riforme si trattò?
Sotto l’ombrello protettivo dei militari operò in coerenza con la prima parte della sua dichiarazione di intenti: “Achicar el Estado es agrandar la Nación”.
(Sulla seconda parte stendiamo un velo pietoso).
Martinez de Hoz, mentre il paese sprofondava nel terrore delle uccisioni e dei rapimenti, preparò in breve tempo il proprio programma nella convinzione (credenza?) che l’inefficienza del sistema economico e la piaga dell’inflazione fossero legate alla presenza eccessiva di norme a tutela del mercato interno e di un apparato statale invasivo.
Eccessive garanzie che
“…hanno viziato la mentalità del popolo e degli operatori economici argentini”.
Parole che riportano alla memoria qualcosa di molto simile e di molto recente…
… stringi stringi, il concetto di fondo è sempre lo stesso… che dite?
Il programma del ministro argentino si concretizzò in una serie di provvedimenti in successione: man mano che i primi producevano risultati scarsamente soddisfacenti (in ogni caso non risolutivi), altri ne vennero aggiunti per correre ai ripari in una spirale sempre più (apparentemente) disperata.
comprimere legislativamente i diritti sindacali (già di fatto annullati dal terrorismo operato dalle squadre della morte militari e para-militari).
congelare l’adeguamento programmato dei salari
eliminare gli aiuti statali al sistema manifatturiero domestico
abolire il controllo pubblico sui prezzi dei beni di prima necessità
eliminare i vincoli alle esportazioni (che favorivano il soddisfacimento prioritario della domanda interna soprattutto per quanto riguarda le materie prime e i prodotti agricoli),
cancellare le barriere commerciali al fine di aprire il paese ai mercati internazionali.
eliminarei controlli governativi sul sistema bancario e finanziario.
sgravare gli istituti di credito dalle perdite legate a “crediti inesigibili” trasferendoli allo Stato
drogare il sistema economico attivando un creativo e totalmente artificiale aggancio monetario col dollaro statunitense
eliminare i vincoli sui movimenti di capitale in entrata e in uscita
eliminare i vincoli che regolamentavano gli investimenti stranieri nel paese
Al termine della sua esperienza di governo, nel 1981, Martin de Hoz consegnò al successore un sistema produttivo manifatturiero domestico devastato (dalla concorrenza delle produzioni straniere più appetibili affluite senza alcun limite o controllo), un debito con l’estero mostruoso (sia in termini commerciali che prettamente finanziari con FMI e grandi banche internazionali), una classe media sprofondata nella povertà e gli strati più popolari abbandonati alla miseria più nera.
Il tutto senza che l’inflazione, vera e propria ossessione dei liberisti di tutto il mondo e di tutte le epoche, fosse stata messa realmente sotto controllo; il tutto senza aver introdotto alcun tipo di evoluzione virtuosa nell’impostazione economica strutturale del paese.
Un fallimento totale quindi?
Si e No.
Dipende dai punti di vista.
Per i grandi latifondisti, per gli oligarchi dell’industria pesante, gli importatori di beni dall’estero, per le multinazionali straniere, per gli speculatori finanziari e il sistema bancario in generale fu un grandissimo successo: 5 anni di orgia liberista senza regole, senza scocciature sindacali, senza responsabilità sociali, senza limiti ai profitti e con ampi paracadute per gli eventi sfortunati.
Da qualche parte nella vostra testa è affiorato un qualche strano senso di Dejà vù dopo questa sintesi?
Notate le similitudini (eufemismo) con quanto sta accadendo qui, oggi, in Europa e in Italia?
Se unite i puntini è facile notare come la figura che si forma è perfettamente sovrapponibile alla situazione macro-economica creata dall’adozione della moneta unica nel vecchio continente.
Stiamo assistendo alla compressione delle garanzie al mondo del lavoro? Sì.
Abbiamo assistito al progressivo arretramento dello Stato dall’economia attraverso privatizzazioni e dismissioni? Sì.
I governi nazionali (più o meno eletti democraticamente) hanno perduto le prerogative decisionali in campo economico a favore di enti sovranazionali che decidono in totale autonomia e indipendenza (come fossero un giunta militare)?
È evidente.
Constatiamo gli effetti devastanti dell’adozione sostanziale di un sistema di cambi fissi del tutto artificiale nei rapporti commerciali tra paesi con diversa struttura economica? Sì.
Il progressivo impoverimento della classe media? È sotto agli occhi di tutti.
I vari fondi “Salva stati” rappresentano una forma evoluta di socializzazione delle perdite del sistema bancario in tutto simili ai provvedimenti di Martin de Hoz? Chiaramente sì.
La moneta unica è lo strumento perfetto per la libera movimentazione di capitali tra economie, senza rischi di cambio? ça va sans dire… Sì, certo.
Disoccupazione e disperazione endemiche chiudono il cerchio.
L’€uro rappresenta, a tutti gli effetti, il perfezionamento tecnico, organizzativo e strategico dello standard liberista: persegue il medesimo obiettivo di massima – iltrasferimento netto (rapina) di ricchezze dalla comunità verso una ristretta élite di rentiers – senza dover ricorrere alla violenza fisica istituzionalizzata per garantirne il raggiungimento.
Nella sostanza, abbiamo assistito ad una gigantesca opera di maquillage comunicativo (ipnosi?) che ha reso la moneta unica, unitamente all’impianto tecnocratico-ideologico dell’Unione Europea che la sostiene, il cavallo di Troia utilizzato per introdurre il mostro liberista (o per meglio dire lo schema predatorio di cui sopra) su larga scala all’interno di un sistema culturale, sociale ed economico complesso.
In conclusione, il problema chiave non è tanto questa o quella politica economica, quanto l’assenza di memoria storica della contemporaneità, che rappresenta l’unico strumento a disposizione della società per intercettare e riconoscere il ripresentarsi di determinati fenomeni.
Società che oggi assomiglia a un gigantesco acquario dove sguazzano milioni di pesci rossi smemorati e impauriti che percepiscono concetti polverosi, ingannevoli e ripetutamente fallimentari (per la maggioranza; di successo per una minoranza), come opportuni, a volte perfino affascinanti e innovativi.
Son stato qui per la prima volta all’inizio di settembre del 2004, le olimpiadi si erano appena concluse e tutto il paese era ancora euforico per la storica vittoria della squadra di calcio agli europei. La crisi in Grecia ancora non c’era, anzi, allora tutto sembrava promettere un futuro radioso che, per chi ha seguito il percorso degli ultimi 5 anni, dovrebbe essersi trasformato in un incubo. (altro…)
Il movimento 5 stelle è uno strumento di gatekeeping, creato per consegnare milioni di voti e migliaia di attivisti all’irrilevanza sostanziale sulle questioni “chiave”che affliggono il paese.
Non solo non esiste alcun errore, deviazione, svista, casualità ma in “questa” realtà gli effetti coincidono 1:1 con gli obiettivi e gli obiettivi coincidono 1:1 con gli effetti.
Dirò di più: non coincidono, sono la stessa cosa.
La conseguenza B non è figlia dell’obiettivo A e quest’ultimo non ha come fine l’effetto B.
I complotti esistono, a tutti i livelli e accompagnano l’umanità dalla notte dei tempi.
Il complotto siamo noi
.
Sostanzialmente, esistono cinque posizioni interpretative (o atteggiamenti esistenziali) riguardo al 9/11.
Sui social media, al bar, alla macchinetta del caffè in azienda si confrontano infatti:
i sostenitori della tesi Inside Job, cioè della presunta teoria della cospirazione/auto-attentato (che chiamerò “Complottisti” da qui in avanti).
i più o meno filo-americani, pro-occidente in ogni caso, strenui e permalosi difensori della “versione ufficiale” e dello scontro di civiltà (Occidente democratico e civile VS Terroristi islamici incivili) all’origine dei fatti (chiamerò “Americani” questa categoria da qui in avanti).
i razionalisti scettici (“Illuministi contemporanei” in questo post) i quali, pur non abbracciando la posizione ideologica degli “Americani”, sostengono la versione ufficiale se non altro perchè i controversi fatti al centro della discussione, sarebbero in realtà scientificamente spiegabili (fate attenzione: non spiegati bensì spiegabili) e, quindi, secondo questa corrente di pensiero, la ricostruzione offerta dai Complottisti sarebbe frutto di fantasie più o meno malate o, peggio, di desiderio di visibilità da parte degli esponenti più accreditati della tesi cospirazionista che riuscirebbero a prendere all’amo migliaia di creduloni del web (più o meno paranoici) per mero interesse personale.
Il “cauto osservatore dubbioso”, cioè il “cittadino medio” il quale valuta le varie versioni con estrema cautela, misurando le sue affermazioni, trovando in entrambe elementi convincenti ma non esaustivi. Egli si mantiene in mezzo, nella sicurezza del “sì, ok, però mi par assurdo, non si sa bene, non capisco, non ci sono le prove, vuoi dirmi veramente che… etc”, apparentemente non eccessivamente coinvolto ma intimamente inquieto.
Gli “ignavi indifferenti”, anch’essi senza un posizione precisa a riguardo ma non per scelta più o meno ragionata, come gli “osservatori dubbiosi” di cui sopra, bensì proprio per prosaica indifferenza al tema.
Non ho intenzione di analizzare nel dettaglio i fatti: ne citerò alcuni “macro” solo come aggancio per la mia analisi (do per scontato un minimo di conoscenza dei passaggi controversi “chiave” della vicenda).
Chiarisco che non mi sto rivolgendo ai complottisti o agli illuministi contemporanei, (entrambi con una posizione identitaria molto netta e difficilment modificabile) tantomeno agli americani o agli ignavi indifferenti (figuriamoci…).
Mi rivolgo invece a chi si riconosce nell’identikit del cauto osservatore dubbioso perchè, credo, più disponibile alla riflessione (se sei giunto fino a questo punto della lettura molto probabilmente sei effettivamente un cauto osservatore dubbioso e ci ho azzeccato).
Caro cauto osservatore dubbioso, il cul-de-sac a cui la tua riflessione sulla questione arriva (al netto di tutti i dubbi/ragionamenti più o meno tecnici sui fatti) è il seguente:
NON E’ POSSIBILE CHE GLI STESSI AMERICANI SI SIANO AUTO-ORGANIZZATI UNA COSA DEL GENERE. NON VOGLIO/POSSO ACCETTARE L’IDEA CHE UN GOVERNO PIANIFICHI E METTA IN OPERA UN COMPLOTTO COSI’ MOSTRUOSO AI DANNI DEI SUOI STESSI CITTADINI.
ANCHE SE FOSSE SAREBBE IMPOSSIBILE MANTENERE IL SEGRETO TRA TUTTE LE PERSONE COINVOLTE IN UNA COSA COSi’ GRANDE E LA VERITA’ ALLA FINE SALTEREBBE FUORI, QUALCUNO PARLEREBBE, SI RIBELLEREBBE.
NON PUO’ ESSERE.
E’ questo pensiero che fa vacillare nella tua testa la tesi dei Complottisti e, di riflesso, dare più credito agli illuministi contemporanei (non avendo altre spiegazioni a portata di mano).
Ma rimani dubbioso… e sai perchè?
Perchè da un lato ti rendi conto che ci sono parecchie evidenti assurdità nella narrazione ufficiale e dall’altro non riesci ad accettare ciò che queste considerazioni portano automaticamente con se.
Perdona la crudezza ma mi permetto di dire che la tua posizione è dettata principalmente dalla tua dimensione EMOTIVA.
La dimensione “logica” dei fatti diventa secondaria perchè sei consapevole che un auto-attentato del genere in qualche modo, volendo, si può mettere in pratica ma ammettere che degli esseri umani arrivino freddamente a progettare atti così ripugnanti TI DESTABILIZZA COME ESSERE UMANO.
Ammettere che ciò è REALE e REALISTICO apre una voragine disgustosa sulla tua concezione di umanità, ti terrorizza ammettere che ciò può ricapitare, che la tua esistenza è potenzialmente esposta a poteri così disumani, totalmente privi di limiti e scrupoli.
Io proverò, proseguendo in questo post, a farti EMOTIVAMENTE (E LOGICAMENTE) ACCETTARE IL PRINCIPIO DI REALTA’ E A CONFRONTARTI CON ESSO.
PRINCIPIO DI REALTA’ CHE CI DIMOSTRA CHE IL “COMPLOTTO” E’ STRUMENTO TUTT’ALTRO CHE ORIGINALE DEL NOSTRO QUOTIDIANO E QUINDI ANCHE DI STRATEGIE A LIVELLI SUPERIORI, GIA’ SPERIMENTATE AMPIAMENTE NELLA STORIA.
ARRIVEREMO ASSIEME A GUARDARE AGLI ATTENTATI DEL 9/11 COME EVENTI PERFETTAMENTE INSERIBILI IN QUESTA “TENDENZA NATURALE” DELLA QUALE L’UMANITA’ NON PUO’ CERTO ANDAR FIERA MA DELLA QUALE E’ INSENSATO SORPRENDERSI.
Procedo.
Il complotto siamo noi.
L’uso del termine che se n’è fatto fino ad ora nei media, ci ha abituati ad associarci l’immagine di un manipolo di carbonari, di soggetti bizzarri che si ritrovano in qualche ufficio fumoso per tirare le fila di qualche progetto malefico oppure l’idea di un qualche malvagio “Dr. Male”, col gattino in grembo, che governa attività occulte ai danni del mondo intero, come nei film di “007” degli anni 60.
Insomma, “Complotto” = Ridicolaggine, fantasia, ingenuità, paranoia.
Vediamo di riportare il concetto di Complòtto al suo significato reale, terra-terra, pratico, reale, concreto, spogliato delle sovrastrutture ereditate dall’immaginario comune e ampliando la definizione stringata che ne da il dizionario.
Un complotto altro non è che una strategia tesa ad ottenere un determinato risultato, pianificata e messa in atto all’insaputa dei soggetti che subiscono o subiranno le conseguenze del raggiungimento dell’obiettivo prefissato e/o all’insaputa dei soggetti che potrebbero ostacolare la strategia stessa.
La segretezza, va da sé, è elemento fondante, indispensabile.
Caliamo ora questa definizione in esempi concreti.
L’idraulico che propone lo sconto a fronte di pagamento “Cash” e la casalinga che accetta hanno, tecnicamente parlando, pianificato e messo in atto un complotto condiviso.
La moglie (o il marito, fate voi) che intrattiene una relazione extraconiugale all’insaputa del coniuge, degli amici, dei familiari, tra sotterfugi e bugie, mette ogni giorno in atto un complotto condiviso (con l’amante).
Il collaboratore infedele che, all’oscuro della propria azienda, intrattiene relazioni con soggetti concorrenti pianifica e mette in atto un complotto condiviso.
http://www.gialmainvestigazioni.it/blog/item/indagini-aziendali.html
Il vertice di un sindacato e il management che si accordano, dietro pagamento, con circa 300 dipendenti a conoscenza dei fatti, hanno tutti assiememessoin atto un complotto condiviso a più livelli nella scala gerarchica e di controllo.
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Finanza%20e%20Mercati/2008/09/siemens-tangenti-sindacato.shtml
Politici e imprenditori che per anni gestiscono illeciti accordi di spartizione di risorse hanno messo in atto un vasto e sofisticato complotto condiviso tra numerosi soggetti a più livelli nella scala gerarchica e di controllo.
http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2014-06-04/appalti-mose-35-arresti-tangenti-coinvolti-sindaco-venezia-e-politici-074942.shtml?uuid=ABOBDWNB
La genesi di un prodotto “chiave”, la sua progettazione, le sue caratteristiche vengono mantenute il più possibile segrete, nascoste ai concorrenti e per far ciò si mette in atto un sofisticato complotto condiviso tra numerosi soggetti a più livelli nella scala gerarchica e di controllo (esempio di complotto al contrario).
http://www.iltempo.it/hitech-games/2014/04/01/iphone-6-una-fuga-di-foto-ne-svela-il-design-1.1235938
Decine di manager di istituiti finanziari e burocrati che scambiano facilitazioni e connivenze con tangenti in denaro, hanno messo in atto un vasto e sofisticato complotto condiviso tra numerosi soggetti a più livelli nella scala gerarchica e di controllo.
http://espresso.repubblica.it/attualita/cronaca/2013/03/28/news/centinaia-le-banche-tangentiste-1.52612
Multinazionali che si accordano per consolidare reciproci profitti manipolando il mercato del farmaco hanno messo in atto un vasto e sofisticato complotto condiviso tra numerosi soggetti a più livelli nella scala gerarchica e di controllo.
http://www.ilsole24ore.com/art/impresa-e-territori/2013-02-16/faro-antitrust-novartis-roche-094613.shtml?uuid=AbnMszUH
I circa 60 senatori romani mandanti dell’assassinio di Giulio Cesare misero in atto unrischioso complotto condiviso tra più soggetti.
http://it.wikipedia.org/wiki/Cesaricidio
I militari, politici, funzionari e semplici cittadini tedeschi che nel 1944 furono arrestati e (molti di loro) giustiziati in quanto ritenuti colpevoli o complici del tentativo (fallito) di assassinare Hitler, pianificarono e misero in atto un sofisticato e rischioso complotto condiviso tra più soggetti. http://it.wikipedia.org/wiki/Attentato_a_Hitler_del_20_luglio_1944
L’attacco navale ad opera dei Nord-Vietnamiti, preso come Casus Belli dagli Stati Uniti nel 1964 per intervenire nella guerra del Vietnam, oggi provato come mai avvenuto, è stato un un sofisticato e rischioso complotto condiviso tra numerosi soggetti a più livelli nella scala gerarchica e di controllo. http://it.wikipedia.org/wiki/Incidente_del_Golfo_del_Tonchino
Il piano Northwoods che intendeva realizzare un finto attacco per giustificare un intervento armato contro Cuba da parte degli Stati Uniti negli anni 60, fù annullato e mai messo in atto pur definito nei minimi dettagli, rappresenta un sofisticato e rischioso complotto condiviso tra numerosi soggetti a più livelli nella scala gerarchica e di controllo.
http://it.wikipedia.org/wiki/Operazione_Northwoods
(non è questo un “11 settembre” in piccolo? Cosa c’è di diverso nella sostanza e nella forma in questo progetto REALMENTE elaborato e validato dallo stato maggiore americano? Solo la tipologia di mezzi e strumenti!)
Destituire con le armi un presidente democraticamente eletto e istituire una dittatura militare significa mettere in atto un sofisticato e rischioso complotto condiviso tra numerosi soggetti a più livelli nella scala gerarchica di differenti organizzazioni complesse. Il Cile e Salvador Allende
Caro cauto osservatore dubbioso, cosa si evince da questi eventi che ho selezionato per brevità tra gli innumerevoli possibili?
Si evince che:
il complotto come matrice di comportamento fa parte della nostra naturale esperienza quotidiana, talmente naturale che non riusciamo ad individuarla dietro alle vicende più semplici o banali.
il complotto, essendo come abbiamo visto una matrice comportamentale-strategica insita nell’agire umano, si manifesta, a chi si concentra con un minimo di lucidità sui fatti, in maniera identica in qualsiasi ambito in cui la discrezione (che si trasforma in segretezza) sia elemento fondante, indispensabile e cruciale per il raggiungimento di un obiettivo preciso.
il complotto, per concretizzarsi, non deve obbligatoriamente essere ordito tra un ristrettissimo numero di soggetti per essere efficace: è sufficiente che i soggetti coinvolti (pochi o moltissimi) abbiano sufficiente interesse o motivazione a partecipare e/o, di converso, sufficienti incentivi all’astenersi dall’intralciare, sabotare, svelare.
Non è obbligatorio che tutti i soggetti coinvolti siano a conoscenza dell’obiettivo reale o di tutti i dettagli del complotto (ragionevolmente il gruppo di congiurati che aggredirono armati di pugnale non erano necessariamente tutti a conoscenza dei motivi politici sottesi alla morte di Giulio Cesare mentre è certo che i marinai dei cacciatorpedinieri americani nel golfo del Tonchino nulla sapessero di far parte di una messa in scena; gli uni e gli altri erano sul luogo dei fatti per eseguire un ordine o per fare meramente il proprio “dovere”)
il complotto minore (idraulico/casalinga) quindi si differenzia dal complotto maggiore (operazione Northwoods o accordo tra multinazionali) esclusivamente per l’obiettivo che intende raggiungere.
L’obiettivo da perseguire determina, di conseguenza, “semplicemente” una differenza in termini quantitativi e qualitativi: più ambizioso e complesso è il risultato che si intende raggiungere, maggiore sarà il grado di determinazione-motivazione richiesto per chi concepisce il piano, maggiore sarà la capacità organizzativo-strategica richiesta, maggiore sarà la quantità e qualità degli strumenti adatti per realizzarlo, maggiore sarà il tempo necessario, maggiore sarà la quantità e qualità degli strumenti necessari per controllare-influenzare le dinamiche che scaturiscono dalla messa in atto del complotto stesso.
Non esistono limiti, non esistono obiettivi inaccettabili, immorali, ripugnanti: motivazioni economiche, politiche o geo-strategiche, come abbiamo visto negli esempi di cui sopra, giustificano ampiamente la frode, l’inganno, la manipolazione, la messa a repentaglio del benessere o della vita stessa di migliaia di persone.
In estremo, l’assassinio e/o la strage (anche di propri concittadini) non sono state affatto escluse come strumenti o conseguenze possibili, anzi.
Dipende tutto, ripeto fino alla sfinimento, da ciò che si intende ottenere.
Ergo, qualsiasi pianificazione e progettualità risulta materialmente possibile quando è presente adeguata motivazione e mezzi-strumenti adeguati.
Caro cauto osservatore dubbioso, ora che abbiamo fatto chiarezza sul concetto di “complotto” usiamo le considerazioni fin qui prodotte e poniamoci due-domande-due sull’11 Settembre (le uniche domande che abbiamo capito ha senso porsi razionalmente) dando loro adeguata risposta.
Domanda n°1: Esistevano le giuste motivazioni per progettare gli auto-attentati e gestirne le conseguenze?
L’opinione pubblica americana “a freddo”, dal vietnam in poi, è sempre stata contraria al sacrificio di propri soldati in un scenari bellici che prevedevano utilizzo di truppe di terra (quindi con alto rischio di contare vittime) e poco favorevole ad un aumento delle spese militari, a maggior ragione per intervenire in zone come Afghanistan e, successivamente, Iraq, così distanti e con scarso significato per l’americano medio.
Era necessario dare all’americano medio il giusto pretesto per cambiare radicalmente opinione.
Disporre di un via libera emotivo, anzi, di una esplicita richiesta di “far giustizia” da parte del popolo americano e dei media era indispensabile per poter inviare truppe e mezzi dall’altra parte del globo, in zone strategiche sede di giganteschi interessi economici e geopolitici.
Il tutto con il vibrante appoggio morale di una intera nazione. Quindi la risposta alla domanda è SI.
Nel 2001 questo obiettivo era raggiungibile esclusivamente creando un terrificante shock emotivo diretto al cuore della nazione americana, creando rabbia, indignazione, desiderio di vendetta verso un colpevole semplicissimo da concepire come tale: i terroristi islamici nemici de L’ American way of life.
Shock amplificato dalle immagini in diretta planetaria, dalla spettacolarità cinematografica degli eventi, dal crollo dai simboli stessi di una città a sua volta simbolo di una identità nazionale.
Domanda n°2: Esistevano strumenti e mezzi adeguati per realizzare gli auto-attentati e gestirne le conseguenze?
Consideriamo come base di partenza per il ragionamento questo fatto incontrovertibile:
gli Stati Uniti dispongono (e disponevano anche nel 2001 ovviamente) delle più avanzate tecnologie sia in campo militare che civile e disponibilità economiche praticamente illimitate.
Molte tecnologie soprattutto in campo militare, è logico pensarlo, non sono di dominio pubblico altrimenti che senso avrebbero?
Ad ogni modo, tutto ciò che i complottisti ipotizzano sia stato utilizzato e cioè aerei a controllo remoto, esplosivi e tecnologie per demolizioni controllate, utilizzo di missili terra-aria o aria-aria erano serenamente disponibili e in gran quantità (mi suona quasi banale scriverlo).
Disponibilità economiche illimitate di cui sopra che mantengono una intricata rete di Agenzie Federali di Intelligence (operanti con vari livelli di segretezza) a presidio del settore della difesa, dell’aviazione, del controspionaggio e in genere della sicurezza interna come: – Air Intelligence Agency (AIA), diventata nel 2007 Air Force Intelligence, Surveillance and Reconnaissance Agency (AF ISRA)
– Central Intelligence Agency (CIA)
– Defense Intelligence Agency (DIA)
– Department of Homeland Security (DHS)
– Bureau of Intelligence and Research (INR)
– Federal Bureau of Investigation (FBI)
– National Security Division
– Information Analysis and Infrastructure Protection Directorate
– National Geospatial-Intelligence Agency (NGA)
– National Security Agency (NSA)
Quindi è ragionevole pensare che una adeguata pianificazione che coinvolgesse anche semplicemente i vertici di queste organizzazioni consentirebbe di orchestrare il controllo totale degli Stati Uniti all’insaputa (è la natura stessa di queste organizzazioni) dell’opinione pubblica e, volendo, anche dello stesso presidente.
Traffico aereo civile e militare, sistemi di difesa attiva e passiva e con essi dati, informazioni, registrazioni, tracciati radar, immagini possono essere stati, quindi, tecnicamente sottratti al controllo democratico in qualsiasi momento, prima, durante e immediatamente dopo gli eventi, semplicemente diffondendo in orizzontale e in verticale, attraverso le gerarchie operative di queste strutture, gli opportuni ordini (che, notoriamente, non vengono discussi) e le opportune informazioni (che possono essere agevolmente manipolate o costruite ad arte).
Le esercitazioni per rispondere a un ipotetico attacco aereo in corso proprio l’11 settembre che hanno creato confusione e una parte dei ritardi nella catena degli interventi difensivi, sono un semplice ma emblematico esempio di come si può declinare una strategia di disorientamento (“non è necessario che tutti siano d’accordo”).
Sul versante di terra, con CIA ed FBI in campo, accedere alle torri gemelle e al WTC7, effettuare “lavori” di manutenzione, in tutta tranquillità sotto copertura, credo sia operazione abbastanza banale, non credi caro amico cautamente dubbioso?
Ad attentati avvenuti, immediatamente nei minuti e ore successive, è stato sufficiente diffondere e ribadire, con la collaborazione (inconsapevole?) dei media che cavalcavano un evento storico, irripetibile, il semplicissimo mantra “Bin Laden – terroristi islamici – dirottatori – nemici dell’America” per creare il “Frame Comunicativo” desiderato prima che qualsiasi altra spiegazione avesse il tempo di formarsi nella testa delle persone.
Già prima del tramonto di quel martedì, il mondo intero, sconvolto, sotto shock, era convinto che tutto fosse opera di un diabolico atto terroristico.
Le incongruenze, le contraddizioni, i timidi interrogativi di qualche voce fuori dal coro sprofondavano nel rombo dell’indignazione, della paura, della rabbia, del dolore, dello stordimento collettivo che queste emozioni provocano. Disponendo del controllo assoluto delle informazioni, i pianificatori hanno realizzato tutto ciò utilizzando nozioni abbastanza banali di sociologia e di gestione del trauma, nulla di trascendentale.
Nozioni di “shockterapia” direbbe Naomi Klein.
Una volta marchiato a fuoco il mantra “Bin Laden – terroristi islamici – dirottatori – nemici dell’America” nella mente di una intera nazione la partita era già vinta.
Fondamentale fu, infatti, presidiare le prime settimane successive alla tragedia, tempo di predisporre i bombardamenti e l’intervento in Afghanistan, ecco pronto un altro Movie da dare in pasto all’opinione pubblica, un fantastico Film, proprio quello che il pubblico stesso desiderava.
Il tempo, il procedere coinvolgente degli “altri” eventi collegati, la vita quotidiana e tutto il resto ha, con il tempo, distratto le persone, annacquato i ricordi e le emozioni.
Nel frattempo, tutto è cambiato, siamo alla terza o quarta stagione del Serial TV, chi ha veramente voglia di rispolverare le prime puntate? Quindi la risposta alla domanda, anche in questo caso, è SI.
Razionalmente e oggettivamente, il governo degli Stati Uniti o qualsiasi altra organizzazione al suo interno, aveva adeguate motivazioni e strumenti mezzi-adeguati per realizzare gli auto-attentati.
STOP
Ricapitolando, i fatti ci dicono che:
Esistono evidenti contraddizioni, aberrazioni logiche e di buon senso, incongruità tecniche macroscopiche nella versione ufficiale che nessun ente pubblico o privato è stato in grado di spiegare o giustificare in maniera incontrovertibile.
L’atteggiamento reticente, le bugie certificate da parte dei responsabili sulla prevedibilità degli eventi, le testimonianze a porte chiuse, l’indisponibilità al pubblico dei video della scena del crimine (Pentagono) in possesso dell’FBI (che da solo spazzarebbe via tutti i complottisti in un colpo solo) tradiscono consapevolezza dell’indifendibilità della versione ufficiale (e quindi connivenza, complicità o diretta responsabilità).
Esistevano motivazioni e mezzi/strumenti tecnologici per concepire, pianificare, organizzare, mettere in atto gli auto-attentati e gestirne le conseguenze.
Quindi…
Per una persona di buon senso e minimamente informata e curiosa, DEVE ESSERE decisamente più verosimile l’ipotesi di un auto-attentato rispetto alla versione ufficiale riassunta in questo video, che consiglio di vedere come ironico recap della faccenda.
Il lato tecnico della faccenda, la spiegazione ingegneristica, il “come” di dettaglio diventa relativamente importante.
Abbiamo visto assieme che i complotti esistono, a tutti i livelli e che accompagnano l’umanità dalla notte dei tempi.
Abbiamo tutti evidenza che l’umanità non ha ancora toccato alcun limite invalicabile quanto a crudeltà, efferatezza, ingegnosità nell’assenza totale di scrupoli.
E’ QUESTO CHE VA ACCETTATO EMOTIVAMENTE PRIMA CHE RAZIONALMENTE:
VA ACCETTATO CHE IL MALE ESISTE, CHE IL MALE E’ NELL’ESSERE UMANO E CHE IL MALE NON HA PER SUA NATURA ALCUN LIMITE.